Lo Stemma Dei Medici
Se chiedeste a un araldista qual è l’arma di una certa famiglia o persona tutto quel che ricevereste sarebbe probabilmente un’occhiataccia, dal momento che l’unica risposta possibile a un quesito così mal formulato sarebbe: “dipende”. Dipende ad esempio da quale momento, visto che uno stemma di famiglia o persona può cambiare aspetto per diversi motivi: questo è naturalmente vero anche per l’arma che è più facile notare per le strade di Firenze, ovvero quella della famiglia Medici, che furono signori della città nell’arco di circa tre secoli; un dominio tutto politico nel periodo repubblicano, poi ufficializzato in vero e proprio principato.
La descrizione dello stemma è “d’oro, a sei palle poste in cinta, quella in capo, più grossa, di azzurro, caricata di tre gigli d’oro posti 2 e 1, le altre di rosso”. In realtà, e come vedremo, i Medici poterono “aumentare” il loro stemma con l’insegna di Francia (la palla azzurra con i tre gigli) solo a partire dal 1465, ma a parte questo va considerato che per buona parte del quindicesimo secolo sia il numero che la disposizione delle palle poteva presentare una certa elasticità, essendo a volte undici, a volte nove, otto, o sette. Un assetto abbastanza stabile venne trovato solo durante il tempo di Lorenzo il Magnifico.
Le origini
Per quanto riguarda l’origine e il significato dello stemma esistono alcune leggende di scarsissima credibilità che vale comunque la pena di raccontare: come quella secondo la quale le palle rosse rappresenterebbero le impronte lasciate dalla clava di un gigante sullo scudo di un certo Averardo, antenato dei Medici giunto in Toscana al seguito di Carlo Magno. Una spiegazione solo apparentemente più credibile vuole che le palle siano in realtà delle pillole medicinali, quindi allusione e indizio del mestiere originariamente svolto dal capostipite della famiglia, cosa che però perde gran parte della sua plausibilità se consideriamo che lo stesso simbolo lo ritroviamo negli stemmi di molte altri casati dell’epoca (a meno di non voler ipotizzare che svolgessero tutti la professione medica).
Le spiegazioni più plausibili sono in genere le meno romantiche: una di queste vuole che le palle derivino dai “bisanti” (piccoli tondini di metallo rappresentanti monete) presenti nello stemma dell’Arte del Cambio presso la quale avevano fatto fortuna i Medici. Niente di più facile che ipotizzare, cioè, che lo stemma familiare sia stato ottenuto per inversione dei colori da quello dell’Arte. Più minimale ancora l’altra supposta origine (che spiegherebbe anche la frequenza del simbolo presso altri casati): le palle altro non sono che le borchie che coprivano le parti metalliche destinate a fissare l’imbracatura interna e sporgenti dallo scudo. Per ottenere lo stemma cioè sarebbe stato sufficiente colorare queste palle. Sia come sia, mentre le origini di uno stemma si perdono sempre nell’oscurità, essendo dovute all’arbitrio di chi ha deciso per primo di adottare quella particolare figura per sé e per i suoi eredi, non si può dire lo stesso per quel che riguarda le sue trasformazioni, in genere soggette a regole abbastanza rigide.
Le palle quindi vennero ben presto ad identificare in modo speciale i Medici, data la loro preminenza in città, e come dimostra la leggenda secondo la quale i cittadini fiorentini si ribellarono alla congiura ordita dai Pazzi urlando “palle! palle!”. Ma l’incontrastata leadership, come noto, era tale soprattutto di fatto, essendo priva di un riconoscimento formale, così che lo stemma mediceo non aveva nessun carattere di ufficialità ma era esclusivamente ad uso privato.
Un primo riconoscimento araldico venne ai Medici solo nel 1465, anno in cui il re Luigi XI concesse a Piero de’ Medici e ai suoi eredi di usare la palla di Francia (totalmente priva di fondamento la teoria, che abbiamo purtroppo letto in un recente libro di ‘curiosità fiorentine’, secondo la quale la palla azzurra venne aggiunta in occasione del matrimonio fra Caterina de’ Medici ed Enrico II). A dire il vero il diploma del re mostrava nel testo il disegno di uno scudetto azzurro caricato di tre gigli, ma con una certa disinvoltura lo scudetto venne poi trasformato nella prediletta e più consueta palla. Segno dell’accresciuta posizione sociale ormai assunta dalla famiglia, e giunta in un momento peraltro delicato (nella parentesi piena di incognite fra la morte di Cosimo il Vecchio e l’età di Lorenzo il Magnifico), la concessione non deve comunque essere intesa come un riconoscimento delle pretese dinastiche della famiglia, le quali vennero ufficializzate solo nel 1530 quando un diploma imperiale fece di Alessandro coi suoi eredi il capo della repubblica fiorentina.
Le più definitive “ordinazioni” del 1532 fecero poi di Alessandro il Duca della Repubblica, il che comportò due conseguenze di rilievo a livello araldico: da quel momento lo stemma della famiglia diventò anche l’insegna ufficiale dello Stato, e inoltre lo stemma venne “timbrato” da una corona ducale. Ricordiamo infatti che le corone hanno un aspetto diverso secondo la dignità di chi le porta, così che una corona comitale è diversa da un corona ducale, questa è diversa da una corona reale e così via. Nell’araldica italiana in particolare la corona di Duca si presenta come un circolo d’oro cimato da otto fioroni d’oro (cinque visibili) sostenuti da punte.
Lo stemma al tempo dei Granduchi
Dopo la morte di Alessandro ucciso nel 1537 da Lorenzino de’ Medici venne chiamato come suo successore il giovanissimo Cosimo che nel 1569 ottenne con una bolla emessa da papa Pio V il titolo, prima inesistente, di Granduca di Toscana. Si trattava a dire il vero di un atto di dubbia legittimità (in quanto spettante all’imperatore) e che venne riconosciuto da parte imperiale solo nel 1576, dopo la morte di Cosimo. Lo stemma dei Medici venne così timbrato da una corona granducale, un circolo d’oro ornato di gioielli dal quale si dipartono verso l’alto punte triangolari d’oro, e con al centro nella parte anteriore un grosso giglio fiorentino.
A partire da 1562, inoltre, lo scudo può poggiare sopra una grande croce rossa a otto punte (della quale si intravedono le estremità) mentre un’altra croce più piccola a volte compare nel ‘capo’ dello stemma. Si tratta del simbolo dell’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano, istituito da Cosimo I. La croce piccola indica l’appartenenza all’Ordine, quella grande la carica di Gran Maestro, che spettava ai granduchi. Solo di pertinenza di Cosimo I invece sarebbe un’ulteriore decorazione, costituita dal collare del Toson d’Oro (un collare formato da acciarini e gemme sprizzanti scintille, con la figura di una pelle di ariete nella parte inferiore). Cosimo venne insignito della prestigiosa onorificenza nel 1546 ma l’appartenenza all’Ordine non era ereditaria. Il collare, piuttosto, tornò a fare parte dei simboli ufficiali dello stato toscano in epoca lorenese, essendo tutti i granduchi della dinastia appartenenti all’Ordine.
Lo stemma di Cosimo III
Un’ultima evoluzione dello stemma si ebbe nel 1691, quando Cosimo III finalmente ottenne dall’imperatore Leopoldo I il cosiddetto ‘trattamento regio'(importante per fini diplomatici e cerimoniali). Conseguentemente la corona venne ‘chiusa’ con archi fermati da un giglio alla sommità. L’importante riconoscimento non portò però molta fortuna alla casata, che come noto si estinse di lì a poco, con la morte di Gian Gastone nel 1737.
A dire il vero ci fu un membro di un ramo secondario della famiglia, quello tuttora esistente dei Medici di Ottaviano, che provò a farsi riconoscere come successore di Gian Gastone, ma senza riuscirci. Come ultima curiosità, lo stemma di questi Medici di Ottaviano è quello che conosciamo con le solite palle (compresa quella azzurra) ma con in più un capo azzurro con le chiavi e il gonfalone papale. Questo simbolo può essere aggiunto allo stemma di coloro che possono vantare un papa in famiglia (in questo caso si tratta di Leone XI) ma è un’usanza che prese piede solo intorno all’epoca di Gregorio XIII, ragion per cui non lo troviamo nello stemma del ramo principale (nonostante Leone X e Clemente VII).
Con l’arrivo dei Lorena la simbologia araldica del Granducato è destinata a complicarsi, data la quantità di titoli che i nuovi sovrani potevano vantare, ma questa è un’altra storia.