Il Cinquecento fra sacro e profano
Quante cose succedono nel Cinquecento: la Riforma e la Controriforma, Carlo V e le scoperte geografiche, per non parlare di Ariosto e Tasso. Per affrontarlo da una prospettiva artistica e fiorentina la mostra di Palazzo Strozzi ci viene incontro con confronti serrati e sale dense, ancora più del solito, di opere e concetti.
Fin dal principio dobbiamo pensare di muoverci fra posizioni contrastanti e per questo l’accoglienza è potente: Michelangelo col Dio Fluviale e Andrea del Sarto con la Pietà di Luco. Il ruolo di Michelangelo per molte generazioni di artisti è indiscutibile mentre bisogna restituire il ruolo di comprimario ad Andrea del Sarto, pittore amato copiato e definito addirittura “senza errori”.
Ma proprio la statura di questi due maestri, e in qualche modo la loro libertà, prepara la strada a una generazione di artisti fra loro molto diversi: Rosso Fiorentino, Pontormo e Bronzino. Le tre grandi Deposizioni sono altrettanti manifesti pittorici che preludono alle diverse strade possibili: l’astrazione conservatrice di Rosso, la metafisica riflessione di Pontormo e il naturalismo prezioso di Bronzino. Si tratta di un confronto senza precedenti dal vero e non sui libri d’arte e che integra le mostre precedenti.(Bronzino nel 2010 e Pontormo e Rosso del 2014)
Quel che segue sono correnti, sfaccettature ed elaborazioni di questa eredità: nella ritrattistica gli spunti colti e raffinati rimandano alla corte, come il suggestivo Mirabello Cavalori nell’Allegoria dell’Amicizia, ma dove c’è spazio anche per il Nano Barbino. Sulle pale d’altare, genere su cui si dovevano misurare gli artisti più affermati, si riesce a dar conto del difficile passaggio alla controriforma: qualcuno cerca di mantenere bagliori e luminescenze, come Pietro Candido, ma il pittore di riferimento diventa chiaramente Santi di Tito, restauro eccellente fra i tanti della mostra, che unisce spunti precaravaggeschi nei dettagli e misura fiorentina nella composizione.
La breve stagione di Francesco I dei Medici è il cuore della mostra: qui sopravvivono il gusto per la raffinatezza e l’esclusività, le “cose rare e preziose”. Nelle stanze di Francesco, Michelangelo sembra quasi dimenticato: nella sala dedicata alla pittura dello Studiolo ci si potrebbe perdere fra raffinate sculture e storie mitologiche.
Prerogativa fiorentina, grazie alle radici umaniste così profonde, è la sopravvivenza dei temi allegorici e mitologici: quadri da stanza in cui Veneri e Psiche non smettono di offrire le loro grazie. Fra le opere che da sole valgono la visita in mostra c’è la Fata Morgana di Giambologna che decorava la villa del Riposo, sulle colline fiorentine. Dispersa, perduta e ritrovata questa scultura è da sola capace di evocare un mondo di piaceri e pensieri raffinati.
La chiusa è affidata alle pale d’altare e in particolare alla grandiosa Visione di San Tommaso d’Aquino di Santi di Tito: una vera messinscena barocca con spettatori, pettegoli e figure in abiti moderni per sostenere l’idea che il Barocco figurativo, non solo quello scientifico, nasce anche a Firenze e non è un’esclusiva bolognese o romana. Per questo uno degli aspetti più interessanti della mostra è senz’altro lo stimolo a riguardare i grandi monumenti fiorentini in una nuova luce, come Santa Croce coi suoi ricchi altari, e per scoprirne di nuovi, come Casa Vasari o l’oratorio di San Pierino.
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