Guelfi e Ghibellini
Traversando il Ponte Vecchio dalla parte di Oltrarno, dirigendosi quindi verso il centro, e imboccando via Por Santa Maria, dopo pochi passi si raggiunge la Torre degli Amidei, oggi sede di una gioielleria. In questi pressi si poteva ammirare fino all’inizio del secolo XIV una statua di Marte, o presunta tale (più probabilmente i resti di un monumento equestre dell’imperatore Diocleziano). Statua che venne portata via senza più essere ritrovata dalla nefasta alluvione del 1333 (che distrusse anche tutti i ponti esistenti).
Ed è esattamente qui, ai piedi della statua, che nel 1216 venne consumato quel celebre fatto di sangue dal quale, secondo Dante e i cronisti trecenteschi, derivarono innumerevoli altri mali e che doveva essere visto come l’origine delle lotte intestine tra fiorentini. Al peccato originale del racconto della Genesi corrisponde, nella più modesta ma per noi altrettanto significativa storia di Firenze, l’omicidio di Buondelmonte dei Buondelmonti, reo di non aver sposato una donna dell’importante famiglia degli Amidei, appunto, mancando alla sua promessa.
Da questo omicidio venne fatta derivare, come si diceva, nientemeno che la divisione politica delle famiglie fiorentine nei due partiti dei Guelfi (amici del Papa) e dei Ghibellini (amici dell’Imperatore). In realtà, sebbene sia vero che la politica dell’epoca fosse tutt’altro che trasparente e quindi le fazioni riflettessero anche risentimenti assai privati fra i protagonisti della politica fiorentina, gli storici odierni tendono ad essere meno riduzionisti al proposito e soprattutto a posticipare di qualche decennio la vera e propria guerra civile tra le due fazioni (che avrebbe toccato il suo apice con la battaglia di Montaperti nel 1260). L’episodio del 1216 sarebbe quindi una delle tante vendette familiari, in un clima certo già conflittuale, che solo a posteriori, per i cronisti e letterati del Trecento, avrebbe assunto quel leggendario significato. A noi, tuttavia interessa anche la leggenda. O più precisamente ci interessano i luoghi della leggenda.
L’inizio della storia: un banchetto litigioso
La località principale, quella dove si consuma l’evento culminante, è già stata individuata, tra una sopravvissuta casa-torre medievale e una dispersa statua marziale, ma per ricercare l’origine del fattaccio occorre spostarsi fuori Firenze, nel contado, a Campi Bisenzio. L’edificio simbolo del paese (che del resto non offre molte altre attrattive turistiche) è la Rocca Strozzi, già Castrum Mazzinghorum. Qui Mazzingo dei Mazzinghi, appena ordinato cavaliere, decise per festeggiare di invitare i giovani rampolli delle più importanti famiglie fiorentine a un banchetto (questo si verificò, per l’esattezza, non proprio nell’attuale castello, ricostruito nel 1376, ma su quello che sorgeva nello stesso luogo prima di essere distrutto dai Ghibellini in seguito alla battaglia di Montaperti).
La descrizione degli eventi è un po’ confusa, ma insomma, pare che un giullare per fare uno scherzo sfilasse un tagliere pieno di carne da sotto il naso al signor Uberto degli Infangati, il quale si arrabbiò. Venne ripreso per questo dal signor Oderico dei Fifanti che però venne insultato da Uberto (“tu menti per la gola!”), e Oderico a sua volta gli tirò in faccia uno dei suddetti taglieri. Nel tafferuglio che seguì il nostro Buondelmonte, che accompagnava Uberto, finì col ferire al braccio Oderico con un coltello.
Donne pericolose
Spostiamoci di nuovo a Firenze, questa volta nella zona dove abitavano i Donati (che saranno protagonisti nel secolo successivo, insieme ai Cerchi, dell’altra grande lotta fratricida, quella tra Guelfi Neri e Guelfi Bianchi), quindi in via del Corso, dove tuttora esiste Palazzo Donati. Occorre sapere che Buondelmonte aveva infine accettato di prendere in sposa, come volevano le usanze che regolavano la composizione delle liti, una donna della famiglia degli Amidei (nipote del Fifanti). Tutto quindi sembrava risolto, ma il caso o il destino vollero che Buondelmonte, trovandosi un giorno a passare da quelle parti, venne notato da donna Gualdrada moglie di Forese Donati, che affacciata al balcone del suo palazzo lo chiamò. Qui gli mostrò una delle sue figlie, che evidentemente doveva avere delle attrattive ben maggiori della promessa sposa, dato che in breve Gualdrada lo convinse con lusinghe a sposarsi con questa e lasciar perdere quella con cui si era già impegnato.
Lo stesso giorno in cui tutti si attendevano le nozze riparatrici dunque Buondelmonte ebbe l’ardire non solo di disertare il matrimonio con la signorina Amidei, ma di andare a “giurare” la signorina Donati, e questo sfilando per porta Santa Maria, ovvero sotto le case dei suoi nemici. Come si può capire, uno sgarbo non facilmente perdonabile. Come per alludere alle origini “forestiere” dei mali che affliggono Firenze (come farà anche Dante nel Paradiso) il cronista che ci racconta la storia (in questo caso l’anonimo conosciuto come lo “pseudo-Brunetto”), evidentemente vuole farci intendere che Buondelmonte è entrato in città partendo dai possedimenti della famiglia in campagna, quindi dal poggio di Montebuoni sito sulla via Cassia in val di Greve, oggi compreso nel comune dell’Impruneta.
Qui i Buondelmonti avevano fra le altre cose un castello che ha una certa importanza nella storia degli inizi del comune fiorentino, in quanto ci racconta il Villani come i nostri fossero in origine una famiglia di feudatari del contado i quali da buoni signori amavano spadroneggiare e imporre pesanti pedaggi a chi passava dall’importante via di collegamento con Siena e Roma. I fiorentini distrussero il castello nel 1135 (ne restano poche pietre sulla sommità del colle, dove ora sorge un oratorio) proprio allo scopo di porre limiti al potere dei signori dei dintorni che inibivano lo sviluppo comunale, e i Buondelmonti si inurbarono. Se quindi Buondelmonte fosse invece partito dalla sua residenza in città, sarebbe forse uscito dalla torre che si trova in via delle Terme, vicino alla chiesa dei Santissimi Apostoli.
“Cosa fatta capo ha”
Per il seguente, e penultimo, atto della tragedia occorre spostarsi di qualche metro e andare nella ex (ci sono molti ex edifici in questa storia) chiesa di Santa Maria sopra Porta, oggi sede della Biblioteca del Palagio di Parte Guelfa. Qui gli offesi e le famiglie a loro più vicine e alleate si riunirono, in un fatidico consiglio, per decidere le azioni da intraprendere contro Buondelmonte. La prima cosa a venire in mente fu, come prevedibile, una bella bastonata, di quelle che non si dimenticano facilmente, in secondo luogo uno sfregio, più permanente, sul viso. Fu Mosca dei Lamberti a meritarsi un posto all’Inferno (collocatovi da Dante) per aver fatto notare come occorressero misure più drastiche se si voleva davvero porre un termine alla vicenda (mai consiglio fu più disgraziato), con le celebri e proverbiali parole “cosa fatta capo ha”.
Siccome le famiglie che lì si riunirono, come probabilmente erano solite fare, sono quelle che più tardi comporranno il partito ghibellino (Amidei, Uberti, Lamberti, Fifanti), non è certo da considerarsi un caso se proprio lì accanto, come a voler cancellare il passato, sorge oggi il Palagio dei Capitani di Parte Guelfa, e come fosse proprio la Parte Guelfa, una volta sconfitti definitivamente i Ghibellini, ad eleggere la chiesa come sede delle proprie riunioni. Soppressa nel 1875, è stata per un periodo una caserma dei pompieri, oggi come si diceva è una biblioteca.
Resta infine da narrare l’omicidio vero e proprio. La scena dell’azione è giù stata descritta. Il tempo è il giorno della resurrezione di Nostro Signore, la domenica di Pasqua, 25 marzo 1216. Buondelmonte cavalca “a palafreno”, con una giubba di tessuto pregiato e il mantello, e addirittura una ghirlanda in testa. È bello, giovane, sicuro di sé. Ad atterrare, letteralmente e metaforicamente, tanta superbia, ci pensa Schiatta degli Uberti, che prende la rincorsa e gli tira una mazza in testa. Il colpo mortale viene invece dato da Oderico dei Fifanti, che gli recide le vene del collo. Dopodiché lo lasciano morto. Il dio Marte osserva: non per niente la colonia romana da cui Firenze trae origine, come scriveva Giovanni Villani, sorse sotto il suo segno.
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