Firenze e il cinema: da Pratolini a Pieraccioni
Il cinema di Vasco Pratolini
Nell’Italia del secondo dopoguerra Vasco Pratolini divenne per il cinema un tracciatore esemplare di approcci e itinerari sentimentali, evocativi, figurativi. Le storie raccontate nei suoi romanzi erano allora –siamo negli anni Cinquanta- particolarmente attraenti perché permettevano di affrontare la storia recente dell’Italia –vista da Firenze- dall’età umbertina fino all’ascesa del fascismo.
Era poi inevitabile che nei casi più riusciti i registi che si trovarono a trattare storie pratoliniane modellassero la fotografia su effetti pittorici: in Metello (1970) la vicenda è ricreata con continue citazione delle fotografie Alinari.
Ma è soprattutto in Cronaca familiare (1962) che il riferimento alla pittura di Ottone Rosai è particolarmente esplicito fin dalla prima scena in cui il protagonista, Marcello Mastroianni, osservando un quadro di Rosai ci introduce al flashback con cui ha inizio la vicenda vera e propria.
Il primo romanzo di Pratolini ad avere una versione cinematografica è Cronache di poveri amanti (1953), per la regia di Lizzani (ma anche Luchino Visconti si era interessato ad una trasposizione del romanzo) e vinse il gran Premio della giuria a Cannes. Il film venne girato in parte in interni, ricostruendo via del Corno in studio perché quella reale -troppo stretta- non era adatta alle riprese, e in parte per le strade e le piazze di Firenze.
Segue Le ragazze di San Frediano (1954) che fu in parte snaturato per trasformarlo in una commedia di giovani, così che Pratolini pretese poi per Cronaca familiare, diretta dallo stesso regista Valerio Zurlini, una rigorosa e fedele traduzione cinematografica del libro.
Va ricordato infine il Metello di Mauro Bolognini, sia per la fedele ricostruzione d’ambiente sia per le violente polemiche politiche che il film suscitò, da un lato per il ritratto di una classe operaia fortemente sindacalizzata, dall’altro perché Metello, scegliendo di andar sul greto dell’Arno ad amoreggiare anziché partecipare a uno sciopero rappresentava un cattivo esempio.
Vasco Pratolini fu anche fecondo sceneggiatore: il suo esordio è l’episodio fiorentino di Paisà di Roberto Rossellini, ma va ricordata anche la collaborazione alla sceneggiatura di Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti, de La Viaccia di Mauro Bolognini, e alla sceneggiatura originale de Le quattro giornate di Napoli di Nanni Loy.
Fiorentini gente di cinema
Pur avendo ospitato dei veri e propri stabilimenti cinematografici solo per pochi anni agli inizi del Novecento la città di Firenze e i suoi dintorni hanno dato al cinema molti protagonisti.
La prima fu senza dubbio Francesca Bertini (Firenze 1888 – Roma 1985), di origini modestissime ma che grazie alle sue interpretazioni melodrammatiche e alla sua notevole bellezza divenne uno dei primi esempi di divismo; negli anni tra il 1912 e il 1920 interpretò con grande successo oltre novanta film. Con lei si ricordano anche la bella ma povera Lorella de Luca, la moglie e collaboratrice di Dario Argento Daria Nicolodi, e infine Martina Stella, lanciata nel 2000 da Gabriele Muccino ne L’ultimo bacio.
Tra gli attori spiccano Giorgio Albertazzi, ora attivo soprattutto a teatro, e Carlo Monni, .a cui dopo la scomparsa è dedicata una fermata della linea 1 della tramvia
Fiorentino è anche il regista Franco Zeffirelli, nato a Firenze nel 1923, diplomato all’Accademia di Belle Arti, e che mosse i primi passi nel cinema assistendo Luchino Visconti sul set de La terra trema. Dedicandosi spesso a trasposizioni letterarie o costruzioni di forte impatto scenografico, Zeffirelli ha dedicato alla sua città Un tè con Mussolini (1998) in cui ha ricostruito l’atmosfera dei colti circoli anglo-americani negli anni precedenti la seconda guerra mondiale fino alla liberazione.
Sono legati a Firenze anche gli sceneggiatori Leonardo Benvenuti e Pietro de Bernardi, che iniziarono la loro carriera con La sceneggiatura de Le ragazze di San Frediano, che in realtà non piacque a Pratolini. A questo seguirono Guendalina (1957) di Lattuada, Incompreso (1963) di Comencini, e il grande successo di Amici Miei, tutti ambientati in Toscana.
Vanno ricordati infine Silvano Campeggi e Piero Tosi. Il primo dopo aver frequentato l’Istituto d’Arte di Porta Romana diventò uno dei più grandi cartellonisti italiani, mentre il secondo ha lavorato come costumista per Visconti, Pasolini e Bolognini.
Amici Miei e la comicità toscana
Il 1975, con il primo episodio di Amici Miei, segna l’inizio della fortuna della comicità toscana al cinema. Il film si impose come campione d’incassi di quell’anno e impose una moda che a distanza di 30 anni ancora continua: il vernacolo toscano è stato ripreso da allora di decennio in decennio.
Prima Francesco Nuti, poi Leonardo Pieraccioni e la numerosa schiera di comici televisivi toscani si possono ricondurre alla scommessa azzardata di fare un film su cinque amici toscani. Nel progetto originario di Pietro Germi il film avrebbe dovuto essere ambientato a Bologna, poiché il fiorentino era considerato una lingua antipatica, inadatta alla commedia.
Ma quando Germi si ammalò e la regia passò a Monicelli, questi chiese e ottenne di spostare la storia a Firenze. Da sottofondo alle zingarate degli amici Mascetti-Perozzi-Melandri-Sassaroli- Necchi si vede una Firenze grigia e autunnale. La fortuna del film venne ampiamente sfruttata da due sequel: Amici Miei atto II (1982), con una celebre rievocazione dell’alluvione del 1966, e Amici Miei atto III (1985), stanca ripetizione delle trovate degli episodi precedenti.
Quasi contemporaneamente al successo di Amici Miei cresceva a Firenze l’esperienza dei Giancattivi, gruppo comico che ha alternato diverse formazioni, ma sempre capitanato da Alessandro Benvenuti. Della loro freschezza e di un gusto per il nonsense tipico di quegli anni rimane Ad ovest di Paperino (1981), trampolino di lancio di Francesco Nuti, poi protagonista unico di una serie di commedie leggere spesso ambientate a Firenze.
Negli anni Novanta è stato Leonardo Pieraccioni a raccogliere l’eredità della comicità toscana, prima col suo film d’esordio I laureati (1995), una storia di studenti fuoricorso che non vogliono crescere e che pur essendo un’opera a basso costo diventò campione d’incassi, poi con Il ciclone (1996). Un discorso a parte va fatto per il comico toscano il cui successo è giunto fino a Hollywood, Roberto Benigni, la cui comicità ha radici contadine non assimilabili al resto del gruppo.