Epifania di Sangue
La storia di Firenze è punteggiata da clamorosi fatti di sangue, omicidi destinati a cambiare drasticamente il corso degli eventi e quindi a essere ricordati dai posteri fino a divenire leggendari. Esemplare in questo senso è la morte avvenuta nella notte tra il 5 e 6 gennaio 1537 del primo duca di Firenze, Alessandro de’ Medici, ucciso dal “tirannicida” Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici.
Antefatto
Lorenzo – nato nel 1514, membro del ramo popolano della famiglia, detto anche Lorenzino per la sua gracilità fisica, oppure Lorenzaccio per il suo carattere – a dire il vero non aveva dato, fino a quel momento, prova di un temperamento particolarmente ribelle, se si esclude forse un grave episodio di vandalismo cui si era abbandonato in un suo precedente soggiorno romano (aveva decapitato delle statue antiche), né di un grande amore per il glorioso passato repubblicano della sua città. Aveva piuttosto fama di studioso, tanto da guadagnare il soprannome di “filosofo”. Si è supposto che fu durante le sue letture, sulla scia di Aristotele e Pomponazzi, che maturò la convinzione che l’anima fosse mortale e che l’unica via all’immortalità fosse la fama, da raggiungere con qualsiasi mezzo.
Alessandro detto il Moro, la vittima, nato nel 1510, era stato riconosciuto come figlio illegittimo di Lorenzo II de’ Medici, quindi discendente di Lorenzo il Magnifico. Il soprannome era dovuto al colore scuro della sua pelle che alcuni supposero ereditato dalla madre (forse una serva mulatta). Era divenuto signore di Firenze nel 1531, insediatovi dal pontefice Clemente VII (Giulio de’ Medici, molto probabilmente il suo vero padre) dopo la caduta dell’ultimo regime popolare; regime che era nato proprio in conseguenza del gravissimo affronto subito dal papa dall’imperatore Carlo V con il sacco di Roma (1527) e la conseguente, ennesima, cacciata dei Medici. Ma siccome niente in politica è stabile papa e imperatore erano tornati alleati e Carlo V si era impegnato a restaurare l’autorità medicea nella città del giglio, cosa che avvenne al termine di un lungo assedio da parte delle sue truppe.
Nel 1532 Alessandro aveva assunto il titolo di duca di Firenze, sancendo la trasformazione della città da repubblica a principato ereditario. Di carattere effettivamente autoritario e violento, la sua condotta negli anni successivi era inevitabilmente destinata ad essere descritta dagli esuli repubblicani fiorentini, e nell’Apologia dello stesso Lorenzino, come tirannica e liberticida. Fra gli episodi più efferati a lui attribuiti si ricorda ad esempio il brutale stupro di Alessandra de’ Mozzi – colpevole del tentativo di riconquistare l’annoiato duca con un filtro d’amore – commissionato ai suoi soldati, e il tentativo di stupro di Luisa Strozzi, poi fatta avvelenare.
Le vere motivazioni del tradimento di Lorenzino, fino a quel momento intimo del duca, rimangono comunque avvolte nel mistero: fu davvero amore per la libertà, come vuole la leggenda repubblicana? Oppure alla base del gesto vi furono rancori più personali, o addirittura inconfessabili?
L’omicidio
Fatto sta che Lorenzino profittò dell’amicizia che aveva con Alessandro, di solito accompagnato da una scorta e lui stesso armato, per indurlo con un tranello ad abbandonare la sua abituale prudenza. Conoscendo l’insaziabile appetito sessuale del duca gli prospettò infatti una notte d’amore con la bella e giovane quanto pudica Caterina Soderini (l’inconsapevole moglie di Leonardo Ginori, e zia di Lorenzo) che, diceva, aveva convinto dietro compenso a cedere le sue grazie. Portato nella “casa vecchia” dei Medici appartenente a Lorenzo, attigua al celebre palazzo di famiglia costruito da Michelozzo (oggi Palazzo Medici Riccardi), Alessandro si spogliò e si mise a letto, sotto il quale vennero nascoste le armi e l’armatura “perché la giovane non le vedesse”, in attesa della dama che il suo compagno sarebbe dovuto andare a prendere.
Lorenzo fu visto invece (da un servitore del duca rimasto fuori) recarsi a casa del vescovo Angelo de’ Marzi, responsabile del servizio postale della corte medicea, allo scopo di procurarsi un permesso per poter uscire nottetempo dalla città, con la scusa di andare a trovare il fratello Giuliano – che era effettivamente malato – presso la residenza di Cafaggiolo. Ottenuto il contrassegno Lorenzino rientrò poco dopo nel palazzo e nella sua stanza, accompagnato però da un suo servitore dal bizzarro soprannome di Scoronconcolo. Qui ebbe inizio la violenta colluttazione nella quale l’inerme Alessandro, pur difendendosi con tutte le sue forze e procurando con un morso una seria ferita alla mano di Lorenzo, doveva avere la peggio, ucciso infine da una pugnalata alla gola inferta da Scoronconcolo.
Chiusa a chiave la stanza, per ritardare la scoperta del cadavere, gli assassini uscirono dal palazzo e cominciarono la loro rocambolesca fuga, con prima tappa Bologna e in seguito a Venezia fra le braccia del capo dei fuoriusciti Filippo Strozzi. Fuga destinata a suscitare critiche anche nel fronte degli antimedicei: a quale scopo – si disse – progettare l’omicidio per fuggire subito senza avvertire la cittadinanza della liberazione dall’odiato tiranno e organizzare immediatamente il cambiamento di regime?
L’epilogo
Critiche che risentono forse del senno del poi, visto l’iniziale entusiasmo suscitato dall’impresa di Lorenzino, accolto come un eroe e paragonato a Bruto, l’uccisore di Giulio Cesare, e i sogni di rivalsa dei repubblicani destinati a infrangersi in maniera definitiva mesi dopo – anche a causa delle mille esitazioni di Filippo Strozzi in cerca di una mediazione col fronte imperiale piuttosto che di una soluzione militare – nella battaglia di Montemurlo. Dopo giorni di totale incertezza, a succedere ad Alessandro nel reggimento della città fu il giovanissimo Cosimo, come Lorenzo membro del ramo cadetto della famiglia, figlio del condottiero Giovanni delle Bande Nere, ma discendente per via di madre dal Magnifico, e destinato a trasformare la città, come non era ancora riuscito ad Alessandro, in un vero e proprio principato assoluto.
Lorenzino visse come fuggitivo per i seguenti undici anni, fra Venezia, Costantinopoli, e la Francia, per infine trovare la morte nel 1548 a Venezia per mano dei sicari imperiali. Doveroso a questo proposito ricordare il prezioso e accurato lavoro di Stefano Dall’Aglio, che nel libro L’assassino del Duca ripercorre le vicende di Lorenzo successive all’omicidio, in una trama ricca di complotti e spie, per sfatare molti inveterati errori storiografici, fra cui quello secondo il quale fu un Cosimo ossessionato dal desiderio di vendetta (e invece, a quanto pare, piuttosto pigro) a commissionare l’assassinio di Lorenzino.
Chi invece volesse ricercare la stanza dove fu consumato l’omicidio del duca rimarrebbe deluso: come prescriveva la legge gli ambienti furono distrutti, lasciando una struttura diroccata fino alla fine del ’600 quando vennero inglobati, insieme alla piccola via che univa via Larga a via Ginori (da allora denominata significativamente Via del Traditore), nel Palazzo ampliato ad opera dei Riccardi, nuovi proprietari.