4 agosto 1944: la notte dei ponti
L’epilogo
La lunga notte dei ponti inizia alla fine del mese di luglio del 1944. Dal 29 di luglio il Comando Tedesco aveva diramato l’ordine di sgomberare in 24 ore le abitazioni e tutti i locali intorno a Ponte Vecchio. L’ordine aveva effetto immediato e decine di migliaia di persone furono costrette ad abbandonare le loro case, tutti i loro averi e a cercare un rifugio. Scuole, circoli rionali, caserme furono aperti per loro dal Comune. Palazzo Pitti diventa il più grande ricovero cittadino: ci entrano migliaia di persone. L’evacuazione, fu detto essere temporanea, e si proibiva di portare qualsiasi oggetto ingombrante. Si ritiene che il Palazzo abbia accolto fra i 4000 e il 6000 sfollati che occupano le sale dei musei, i cortili. Le loro condizioni, nella promiscuità totale erano difficilissime considerando fra l’altro che le forniture di luce elettrica e di acqua erano state interrotte. Ne racconta nel suo “Diario dei Cinquemila”, l’architetto Nello Baroni, che ne condivise le sorti. Baroni ha lasciato una testimonianza unica anche attraverso le fotografie scattate in quei giorni. Fotografie che vedete qui a seguito.
La mattina del 3 agosto, con la proclamazione dello stato d’emergenza, fu fatto divieto assoluto di circolazione, la cittadinanza fu costretta in casa, nei loro precari rifugi e persino le finestre dovevano restare chiuse.
La notte dei ponti: le esplosioni
La notte fra il 3 e il 4 agosto alla fatica e alla preoccupazione segue l’angoscia. Dopo il tramonto, il silenzio del coprifuoco, rotto dagli incessanti colpi di artiglieria, venne squarciato dal rombo delle esplosioni. Uno dopo l’altro saltarono in aria i ponti, da quello di San Niccolò a quello alla Vittoria. Un fumo densissimo si diffuse per le strade e il detriti piovvero come colpi d’artiglieria, il cielo si era fatto tutto rosso. Lo scrittore pittore Carlo Levi, rifugiato a Palazzo Pitti, testimonia come le esplosioni fossero cominciate al crepuscolo, “violente, vicine, orrende, come se venissero di dentro, dai visceri stessi”. Ricorda di alcuni fra gli sfollati feriti dai vetri, o da frammenti di statue cadute per le esplosioni, che erano medicati a lume di candela in una sala interna.
“Dall’altra parte dell’Arno Firenze era buia e ferma nella notte; ma qui si muoveva innaturalmente, saltava nell’aria, sbriciolata dalle mine. Sul finire della notte le esplosioni si erano fatte più rare; poi una più violenta e vicinissima (quella, credo, che distrusse il ponte di Santa Trinita) fu l’ultima, e seguì un correre di scarpe ferrate, un sussurro di voci, e il silenzio”.
Fu l’alba a rivelare la portata delle distruzioni. Solo il Ponte Vecchio era rimasto “in sul passo d’Arno”, come scriveva Dante (Inf. XIII -146).
I ponti di Firenze
Ponte San Niccolò
Quella tragica notte del 3 agosto del 1944 fu completamente distrutto il ponte San Niccolò, che i fiorentini chiamavano Ponte di Ferro. Era stato costruito, dopo l’alluvione del 1844, nel 1853 e poi riedificato a travate di ferro nel 1890 per permettere il passaggio della tramvia del Chianti.
Ponte alle Grazie
Perduto per sempre era il Ponte alle Grazie. Era il più antico, costruito nel 1237, ai tempi del podestà Rubaconte da cui aveva dapprima preso il nome. Nonostante si trovi sul punto più largo dell’Arno aveva resistito meglio degli altri alle molte piene. Il numero di arcate, fino al 1346 fu di nove, era stato nel corso dei secoli diminuiti per permettere dapprima l’ampliamento della piazza dei Mozzi e poi la costruzione dei lungarni. Aveva, In comune con il Ponte Vecchio, la caratteristica di ospitare dei piccoli edifici. All’origine erano rifugi per delle religiose dette Romite, poi degli Oratori ed infine delle casette e botteghe, tutti però abbattuti nel 1876. Motivo fu ancora una volta la necessità di allargare la carreggiata. Furono allora realizzate anche le spallette di ghisa.
Ponte Santa Trinita
Per i fiorentini però forse la perdita più dolorosa fu quella del Ponte Santa Trinita, considerato il più perfetto esempio di architettura rinascimentale. Il ponte dopo l’alluvione del 1557 era stato edificato fra 1567 e il 1570 su progetto di Bartolomeo Ammannati. Secondo le Parole di Filippo Baldinucci fu detto “uno de’ più maravigliosi d’Europa” ed era considerato un modello di bellezza, di eleganza, di resistenza. Era inoltre innovativo avendo al centro lo spazio per il transito di carri e cocchi e ai lati i marciapiedi per i pedoni. Conferiva al ponte un aspetto unico la linea ellittica delle tre luci, ad arco di catenaria che si diceva fosse stata suggerita da Michelangelo stesso. Il ponte si rivelò particolarmente resistente e non cedette completamente dopo le prime esplosioni. Gli artificieri tedeschi la mattina del 4 agosto dovettero aggiungere delle ulteriori cariche esplosive che fecero crollare anche questa meravigliosa architettura.
Ponte alla Carraia
Crollato completamente era anche il ponte alla Carraia. Quando fu costruito nel 1220 era chiamato Ponte Nuovo, perché era il secondo ad attraversare il fiume dopo quello Vecchio. Prese il nome Carraia, chiaramente perché destinato al traffico dei carri. Il ponte era andato distrutto insieme a quello di Santa Trinita nella piena del 1557 e ricostruito insieme a quello negli stessi anni, senza però acquistare un particolare carattere architettonico, essendo considerato un ponte destinato al traffico soprattutto commerciale.
Ponte alla Vittoria
A valle del corso dell’Arno era stato completamente distrutto anche il ponte più “giovane”, quello alla Vittoria. Edificato nel 1837, quando si fece necessario il collegamento alle grandi vie granducali – Pisana, Pistoiese – e con il nuovo borgo industriale del Pignone. L’importanza del ponte crebbe poi con la costruzione della Stazione ferroviaria e con l’abbattimento delle mura. Dopo l’Unità fu il ponte di congiunzione fra i viali di circonvallazione e il Viale dei Colli. La sua importanza aveva reso ineludibile la completa ricostruzione che era stata terminata nel 1932. Dapprima denominato San Leopoldo in onore del granduca lorenese Leopoldo II, poi fu chiamato comunemente Ponte Sospeso, ma dagli anni Venti era già stato intitolato alla Vittoria della Grande Guerra.
Ponte Vecchio
Rimaneva, sul passo più stretto di attraversamento dell’Arno solo il Ponte Vecchio. Accedervi era impossibile perché, su ordine del Feldmaresciallo Kesselring, erano state fatte saltare tutte le strade di accesso. La notte del 4 agosto infatti erano stati completamente distrutti via Guicciardini, via dei Bardi, Borgo San Jacopo, Via Por Santa Maria e il Lungarno Acciaiuoli. Non saltò in aria il Lungarno Maria Luisa de’ Medici dove è il Corridoio Vasariano. Lo spettacolo era terrificante e avvicinarsi alle rovine delle case distrutte era pericoloso a causa delle mine che vi erano disseminate.
Perchè il Ponte Vecchio non sia stato fatto saltare è argomento discusso. Qualcuno ancora riporta l’opinione, assolutamente infondata, e soprattutto inverosimile, che sia stato Hitler stesso, perché ne ammirava la bellezza, ad ordinare di non distruggerlo. Sicuramente chi perorò la causa della salvezza del Ponte Vecchio fu Gerhard Wolf , il console tedesco a Firenze. In segno di gratitudine una lapide ricorda il nome ed il ruolo di generoso ed impavido protettore di molti perseguitati. Tuttavia la decisione di non far saltare il ponte Vecchio, ma di renderlo inaccessibile distruggendo le vie d’accesso ed i lungarni, può essere stata presa dal Feldmaresciallo Kesselring non tanto in base a nobili motivi, ma soprattutto in base a considerazioni tattiche. Le rovine delle costruzioni esistenti sul ponte avrebbero potuto consentire comunque un attraversamento dell’Arno.
La memoria di quei giorni
Nella ricorrenza degli 80 anni dalla notte dei ponti e di quei tragici giorni le Gallerie degli Uffizi hanno organizzato una mostra virtuale
https://www.uffizi.it/mostre-virtuali/la-repubblica-di-pitti#58
Come è possibile anche guardare i documentari:
oppure
Oggi sono passati 80 anni dalla tragica notte dei ponti. La città che vediamo nelle vecchie immagini è molto cambiata. In questi giorni di agosto tantissimi sono i turisti stranieri che si fotografano sulle rive dell’Arno o sulle sponde dei ponti, i più non sanno dei fatti di 80 anni fa. E chissà se fra loro ci sono i nipoti o pronipoti di quei soldati alleati, che entrarono a Firenze in quei giorni. Forse per chi viene a visitare Firenze può sembrare non così importante conoscerne la storia negli anni della Seconda Guerra Mondiale. E invece noi vorremmo che la memoria di quello che è successo allora fosse viva, perché è la memoria che può servire da faro per illuminare il cammino verso il futuro.