18 febbraio 1564 – muore Michelangelo
L’anniversario
Il 18 febbraio 2014 ricorrono 450 anni dalla scomparsa di Michelangelo Buonarroti. Il lunghissimo percorso terreno del divino artista si compì a Roma nella casa di Macel de Corvi. Mancavano pochi giorni al suo ottantanovesimo compleanno, Michelangelo infatti il 18 febbraio 1564 aveva vissuto ottantotto anni, undici mesi e quindici giorni.
Attivo fino all’ultimo, aveva dedicato gli ultimi anni soprattutto all’architettura e non aveva accettato commisioni per sculture, lasciando lo scalpello servire solo il suo desiderio ed ispirazione. Ed era alla Pietà Rondanini che Michelangelo lavorava negli ultimi giorni della sua vita: lo testimonia Daniele da Volterra nella lettera a Giorgio Vasari del 17 marzo 1564: «Egli lavorò tutto il sabato, che fu inanti a lunedì che ci si amalò; e la domenica, non ricordandosi che fussi domenica, voleva ire a lavorar, se non che Antonio gnene ricordò» .
Gli ultimi anni a Roma
Michelangelo abitava a Roma dal 1534, quando partito da Firenze, lasciando incompiuta la Sagrestia Nuova e, nel suo studio di via Mozza, fra l’altro i quattro Prigioni. Non aveva mai più fatto ritorno in patria.
La casa di Roma, all’indirizzo vicolo de’ Fornari, in Macel de’ Corvi, era in una zona popolare, fetida. La casa stessa era modesta, composta di due camere da letto, della bottega al pian terreno, poi di un tinello, una cantina, una loggia affacciata sull’orto e di una stalla. Era a suo dire una «scura tomba», nella quale però visse rinchiuso «come la midolla nella sua scorza» per gli trent’anni della sua vita.
Per quell’epoca, avendo raggiunto l’età di ottantotto anni, Michelangelo era un vegliardo. Nelle lettere che invia al nipote Leonardo, Michelangelo si lamentava da anni delle sue malattie e sottolineava come si sentisse già molto vecchio.
«Circa l’esser mio, sto male della persona, cioè con tucti i mali che sogliono avere i vechi: della pietra, che non posso orinare, del fianco, della schiena, in modo che spesso da me non posso salir la scala; e peggio è perchè son di passione pieno». Roma , 16 giugno 1557.
Nel mese di dicembre del 1563 Michelangelo soffrì di una forte febbre, e scrisse lui stesso del suo stato in una lettera del 28 dicembre. E’ l’ ultima missiva di sua propria mano, la calligrafia è chiara benchè pendente al basso.
«A Lionardo di Buonarroto Simoni in Firenze.
Lionardo,ebbi la tua ultima con dodici marzolini begli e buoni: te ne ringratio, rallegrandomi del vostro buon essere, e ‘l simil è di me. E avendo ricevuto pel passato più tua, e non avendo risposto, è mancato perchè la mano non mi serve; però da ora inanzi farò scrivere altri e io soctoscriverò. Altro non m’achade.
Di Roma, a dì 28 di dicembre 1563 Io Michelagniolo Buonarroti»
Gli ultimi giorni
Tiberio Calcagni che andava ogni giorno a trovare Michelangelo raccontò come il 13 febbraio, appressatosi alla casa di Macel de Corvi, in una giornata fredda e piovosa, aveva trovato Michelangelo in strada a capo scoperto che smaniava. Alla domanda che gli fece, perchè stesse lì, così da solo al freddo e alla pioggia, Michelagelo rispose: «Che vòi tu ch’io facci? Io sto male e non trovo quiete in luogo alcuno….». Tiberio, insieme a Diomede Leoni, che nel frattempo era sopraggiunto, riuscì a convincere Michelangelo a rientrare in casa, dove all’ingresso della stalla, videro il domestico Antonio che aspettava tenendo per la briglia il cavallo sellato. Antonio disse che Michelangelo stesso gli aveva ordinato, senza lasciare possibilità di obiettare, di preparare il morello. Ed egli aveva eseguito l’ordine pur sapendo che il maestro non sarebbe riuscito a salire in sella. Quella del cavalcare era un passione che Michelangelo aveva sempre nutrito e che l’accompagnerà fino all’ultimo. Antonio si lamentò di come negli ultimi giorni Michelangelo fosse stato spesso particolarmente agitato e smanioso. Tiberio Calcagni e Diomede Leoni mandarono subito a chiamare Daniele da Volterra. Michelangelo nel frattempo aveva acconsentito a sedere davanti al camino su una poltrona. Era il lunedì di carnevale. A Daniele Michelangelo disse: «O Daniello, io sono spacciato, mi ti racomando, non mi abandonar»; poi chiese di mandare a chiamare il nipote Leonardo, parlava come nel sonno, con la voce velata. E questa è la richiesta che si legge nell’ultima lettera, in data 14 febbraio, vergata da Daniele da Volterra e che Michelangelo firmò solamente. La firma era con una grafia stentata, sghemba e stentata, «Micelagniolo Buonarti» e testimoniava, nei suoi errori, lo stato di prostrazione in cui si trovava il grande genio.
Messer Lionardo honorandissimo, salute.(…) Hora, trovandosi messer Michelagniolo dell’età che sapete, ancora che e’ sia della buona complessione che è, nondimeno, qualche volta anch’egli à qualche perturbatione o di stomaco o d’altro, come suole accadere quasi a ttutti gli huomini viventi in questo mondo. Iieri, essendoli venuto un poco di affanno con molto sonno, (…) Io lo domandai se e’ voleva che io vi scrivessi che voi venisse fin qua, dicendoli che voi mi havevi scritto haverne gran desiderio, e per vederlo [e per] stare parechi dì di questa quaresima a Roma per vostra divotione. Lui [mi] rispose sempre dicendo “Io te ne prego”, e fecigl[i]elo dire ben tre o quat[ro] volte. Sì che a me parrebbe che voi non dovessi tardare a venire fin qua; e quando sarete qui potrete disporre dell’avenire quel che parrà meglio a lui e a voi. E, non occorrendo altro, prego Dio che vi dia buon viaggio. Sollecitate quanto potete. Di Roma, alli 14 di febraro 1564.Vostro Daniele Ricciarelli.Mic[h]elagniolo Buonar[o]ti.Al magnifico messer Lionardo Buonarroti mio da fratello carissimo.In Fiorenza.
Nella casa di Macel de Corvi nel frattempo era arrivato anche Tommaso de Cavalieri. Dalla poltrona, dove era voluto rimanere seduto, dopo ben due giorni, quando perse coscienza, Michelangelo fu portato a letto, e lì su quel letto di ferro con solo un pagliericcio, passò le sue ultime ore terrene. Il medico Federigo Donati e lo speziale Antonio Martelli si alternavano al capezzale, prescrivendo decotti, infusi, clisteri, balsami. Stati di incoscienza si alternavano a momenti di lucidità, quando Michelangelo riconosceva quei pochi intimi e fidati uomini ammessi nella sua casa, i soli che gli stettero vicino in quelle ore. Chiese ad Antonio che leggesse la Passione di Cristo, ed egli lesse da quella di Giovanni e soprattutto di Matteo, che sapeva essere preferita dall’artista. Michelangelo fece testamento dicendo di affidare «l’anima sua nelle mani de Iddio; il corpo alla terra, e la roba a’ parenti più prossimi». Non volle un prete al suo capezzale, ma si spense accompagnato dalla lettura del Vangelo. Era al tramonto del venerdì di quaresima 18 febbraio 1564.
La maschera e il busto
Daniele da Volterra tolse allora una maschera dal suo viso, e il volto del grande scultore divenne esso stesso opera di scultura. Dopo di ciò il corpo fu preparato per la sepoltura. Dapprima pensarono di mettergli l’abito da lavoro e accompagnarlo con lo scalpello e il pennello, poi decisero di vestirlo come per un viaggio, con la palandrana nera che indossava per cavalcare, il cappello di foggia antica e gli stivali con gli speroni.
Sappiamo che il nipote Leonardo per quanto si affrettasse, arrivò a Roma solo dopo la morte dello zio giovedì 24 febbraio, il suo viaggio da Firenze era durato una settimana. Il corpo di Michelangelo era già stato portato nella chiesa dei Santi Apostoli, dove erano state celebrate le esequie.
(C.Barcucci)
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