10 dicembre 1513 – Il Principe
L’anno di Machiavelli – parte III
Questo racconto, iniziato con l’arresto di Machiavelli il 19 febbraio 1513, e la sua liberazione nel mese di marzo, si conclude con la sua permanenza nell’autunno sempre dello stesso anno nella casa di campagna dell’Albergaccio a Sant’Andrea in Percussina, e tocca argomenti di competenza degli storici e degli studiosi di letteratura.
Infatti in quel periodo Niccolò Machiavelli è intento alla scrittura della sua opera più famosa — «Il Principe». E’ superfluo sottolinearne l’importanza per la nostra letteratura, e il peso nell’elaborazione del pensiero storico e politico contemporaneo.
L’intento è ripercorrere le tappe della vicenda umana e politica del destituito segretario della cancelleria, e sottolineare alcuni dettagli che, per chi non ha approfondito l’argomento, potrebbero essere rimasti in ombra.
Machiavelli uomo di governo
Machiavelli era stato incaricato come segretario della Cancelleria il 28 maggio 1498, solo 5 giorni dopo l’esecuzione in piazza Signoria della condanna contro Savonarola. Il fumo del rogo permeò tutto dell’acre odore che hanno le epoche drammatiche — e questa è l’epoca in cui Machiavelli esercita la propria funzione.
La figura del segretario era di recente istituzione, esisteva solo dal 1483, il titolo stesso sottolinea l’estrema responsabilità della funzione: segretario è colui che è addentro ai segreti di palazzo, e a Firenze egli era alle dirette dipendenze dell’autorità più alta dello Stato — la Signoria. Fra le competenze di Machiavelli era anche lo scrivere lettere, dare istruzioni agli ambasciatori, e compiere missioni diplomatiche. Famosissima quella presso Cesare Borgia. Dal 1502 la Repubblica istituisce la carica di Gonfaloniere a vita, affidata da Piero Soderini, e Machiavelli divenne anche consigliere politico e uomo di governo. Molte furono le incombenze e gli atti di governo ispirati o intrapresi da Machiavelli, in quegli anni, l’istituzione della Milizia fiorentina, primo esercito nazionale, e non mercenario, dell’epoca moderna.
Importantissimi furono anche gli atti della politica culturale, che videro l’incarico per gli affreschi, fra cui la famosa “Battaglia d’Anghiari” o “battaglia perduta”, della sala del Consiglio Maggiore a Leonardo e Michelangelo. La commissione viene formulata dal Soderini già nel 1502, deliberata il 4 maggio 1504 e in questo Niccolò intervenne per conferire il crisma dell’autorità della Cancelleria. Frutto della stessa politica è anche la collocazione del David di Michelangelo, elevato a simbolo repubblicano, in piazza Signoria. Nonostante il sodalizio e la fedeltà sempre dimostrata, l’opinione di Niccolò sul suo gonfaloniere è espressa nell’epigramma con cui ne bollò aspramente l’inettitudine: «La notte che morì Pier Soderini l’alma andò dell’Inferno alla bocca: E Pluto la gridò: Anima sciocca, che Inferno? Va’ nel Limbo dei bambini».
Sant’Andrea in Percussina
Ora, dopo il drammatico 1512, e i primi tremendi mesi del 1513, costretto a vivere nella sua casa dell’Albergaccio di Sant’Andrea in Percussina, a circa 12 chilometri dalla città, Niccolò Machiavelli deve fare buon viso a cattivo gioco. Egli stesso dice come debba sopportare «una grande e continua malvagità della fortuna».
La famiglia non era mai stata ricca, «nacqui povero ed imparai prima a stentare che a godere». La casa di Sant’Andrea in Percussina era divenuta proprietà di Bernardo, padre di Niccolò, in via ereditaria. Grazie a questa, e a qualche altra proprietà, Bernardo manteneva la famiglia, non avendo mai esercitato la professione giuridica.
Di uomini come suo padre, e dell’ inutilità delle loro conoscenze giuridiche, Niccolò ironizzerà nella «Mandragola» e nella «Clizia». Il figlio Niccolò rimproverava inoltre al padre di aver passato troppo tempo con tutta la famiglia nel contado. Gli scarsi introiti e la grande parsimonia da lui imposta alla famiglia, e di cui il figlio si lamenta, non aveva impedito a Bernardo, di nutrire una vera passione per i libri che acquistava spedendo buona parte delle sue risorse. I libri sono l’unica ricchezza ereditata dal Machiavelli. Il padre di Niccolò tuttavia era probabilmente un uomo di limitata levatura, se giudicare dalle note del suo «Libro dei Ricordi». Il testo è incompleto per una perdita di fogli, e si apre nel 1474 riportando l’acquisto di un’asina e si interrompe con l’accorata registrazione della morte di un bue il 19 agosto del 1487.
L’esilio e il “Principe”
Niccolò, si può supporre anche per questo, non amò mai la casa del contado, ed ora costretto dal destino a ritirarvisi, deve trascorrere le sue giornate in occupazioni lontane dalle sue passioni e dai suoi i veri interessi. Di questo tempo ci scrive dettagliatamente nella famosissima lettera del 10 dicembre indirizzata all’ambasciatore fiorentino presso la Santa Sede, Francesco Vettori. Celeberrima la sua frase «m’ingaglioffo per tutto dí giuocando a cricca, a trich-trach (…)». Questo fino alla sera quando egli, entrato nel suo scrittoio, si veste di «panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui». L’esperienza della pratica di governo e la conoscenza degli uomini di potere gli permettono, «avendo inteso, di fare scienza», e grazie a questo suo sapere di comporre «uno opuscolo De principatibus; dove io mi profondo quanto io posso nelle cogitazioni di questo subietto, disputando che cosa è principato, di quale spezie sono, come e’ si acquistono, come e’ si mantengono, perché e’ si perdono.»
Segue anche l’espressione della sua più profonda speranza:
«Appresso al desiderio harei che questi signori Medici mi cominciassino adoperare, (…); e per questa cosa, quando la fussi letta, si vedrebbe che quindici anni, che io sono stato a studio all’arte dello stato, non gli ho né dormiti né giuocati; e doverrebbe ciascheduno haver caro servirsi di uno che alle spese di altri fussi pieno di esperienza. E della fede mia non si doverrebbe dubitare, perché, havendo sempre observato la fede, io non debbo imparare hora a romperla; e chi è stato fedele e buono quarantatré anni, che io ho, non debbe poter mutare natura; e della fede e bontà mia ne è testimonio la povertà mia.»
La vera Fortuna
Desiderio di servire che rimase inesaudito, Machiavelli rientrerà a Firenze solo il 3 febbraio del 1514, ma non occuperà più alcun incarico ufficiale. Il suo opuscolo, il famosissimo “Principe”, dedicato a Lorenzo Medici duca d’Urbino, sembra non ne suscitò l’interesse, se credere all’aneddoto che ci narra come il dedicatario, appena ricevuto il libro lo ripose, distratto da ben più interessante dono: due cani bracchi.
Eppur se la fortuna si accanì contro Machiavelli, dei due bracchi non sappiamo nulla, pochi ricordano il vanitoso e vacuo Lorenzo Medici duca d’Urbino, mentre l’opuscolo…..
(C. Barcucci)
Leggete le prime due parti del racconto del difficile anno 1513 vissuto da Niccolò Machiavelli: parte I e parte II.
Scoprite i nostri itinerari nei luoghi di Machiavelli: il palazzo della Signoria e l’Oltrarno, possiamo inoltre proporvi un itinerario storico-letterario dedicato a Machiavelli. Oltre a questo la visita del Palazzo della Signoria permette di ripercorre la travagliata storia della “Battaglia perduta” di Leonardo e la visita della Galleria dell’Accademia di ammirare il Davide di Michelangelo.